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I lavoratori fragili: una nuova sfida per lo ‘smart office’

Il rientro in ufficio può essere una condizione di difficoltà e preoccupazione per i lavoratori più vulnerabili e più esposti ai rischi di contagio. Cosa prevede la legislazione in questi casi? Quali misure possono intraprendere le organizzazioni per tutelare questi soggetti?

testo a  cura di Paolo Santucci (*)                                                                                                                                                  foto: iStock-115883789

 

Chi sono il ‘lavoratori fragili’? Per la letteratura scientifica si tratta di soggetti affetti da una o più patologie croniche che possono andare incontro a forme severe di malattia da Covid-19 nell’ambito dell’attuale contesto pandemico. Per gli interessati significa vivere una condizione di difficoltà e preoccupazione, che non rende semplice la ripresa lavorativa nella abituale sede aziendale dopo mesi di attività protetta in remoto.

Negli ultimi due anni il Legislatore nazionale è intervenuto più volte sul tema ‘lavoratore fragile’, in alcuni casi definendo criteri, in altri elencando quadri patologici, ma anche ritardando le proroghe in scadenza, producendo infine un quadro normativo dispersivo e di non univoca interpretazione.  
Tentando una sintesi, il Legislatore ha concesso periodi di astensione da lavoro, tramite malattia ‘assimilabile a ricovero ospedaliero’, ai lavoratori affetti dalle forme più gravi: immunodepressione, patologie oncologiche, assuntori di farmaci salvavita oppure compresi nei criteri previsti dall’art.3 comma 3 della Legge 104/92.
Altri lavoratori, in condizioni di minore gravità, hanno ottenuto postazioni di lavoro ‘riservate’, o, più spesso, periodi di attività in remoto (il cosiddetto ‘full smart working’), grazie all’intervento diretto delle aziende tramite policy interne, oppure a seguito di pareri, a volte giudizi di idoneità, formulati dai medici competenti, o dai medici INAIL, tramite la sorveglianza sanitaria eccezionale, o ancora da certificazioni rilasciate dai medici di famiglia (COVID-19: Gestione del lavoratore “fragile”, www.anma.it ).
Tuttavia, a seguito delle proroghe ai sensi del Decreto n°24/2022 modificato in sede di conversione con Legge 52/2022, le diverse forme di tutela verranno sospese contemporaneamente il 31 luglio 2022.
E il recente Protocollo condiviso dalle Parti sociali del 30 giugno 2022 “auspica che vengano prorogate ulteriormente le disposizioni in materia di tutele per i lavoratori fragili”, disponendo nel contempo “specifiche misure prevenzionali e organizzative per i lavoratori fragili” a cura del datore di lavoro, sentito il parere del medico competente.§
Perciò assisteremo al rientro nelle aziende di tutti i soggetti vulnerabili, tramite attività in presenza al 100% (modello ancora diffuso ed ancorato all’epoca pre-covid), oppure con una alternanza fra attività in remoto e lavoro in sede (la più moderna ‘modalità ibrida’), a seconda della organizzazione disposta dal datore di lavoro. 
Ma, a questo punto, dobbiamo attenderci nuovi provvedimenti legislativi dedicati, oppure le aziende per il futuro dovranno gestire in autonomia ogni singola condizione di fragilità?

I ‘lavoratori fragili’, questi sconosciuti
Quanti sono i ‘lavoratori fragili’, o comunque vulnerabili, nella accezione più ampia del termine? 
Una risposta precisa è impossibile, sia perché i criteri di classificazione di questa condizione sono difformi, sia perché i casi sono stati gestiti da un ‘sistema misto’, in parte costituito dalla sanità pubblica (medicina legale, INAIL, ecc.), in parte dalla sanità privata (medicina del lavoro aziendale, ovvero medico competente).
Peraltro, il tema è sostanzialmente ignorato dalla letteratura scientifica, poiché ‘avvertito’ maggiormente dal medico-professionista che opera sul territorio e circoscritto agli ambienti in cui le attività sono compatibili con lo ‘smart working’, vale a dire gli uffici nella maggior parte dei casi.
Tentando una stima approssimativa sulla base delle personali esperienze nell’ambito di grandi aziende del settore turistico, elettronico e assicurativo, è possibile ipotizzare orientativamente una percentuale complessiva di lavoratori fragili, più o meno gravi, pari al 2-3 %.
Ma adesso si apre la sfida, poiché negli ultimi tempi i vantaggi offerti dallo ‘smart office’, o in senso lato dal ‘digital workplace’, sono stati enfatizzati sotto ogni aspetto, eccetto che per la tutela dei lavoratori più vulnerabili.
Perciò, i nuovi ambienti, tecnologici e intelligenti, dinamici e flessibili, gradevoli e stimolanti, sapranno accogliere i lavoratori fragili, dimostrando di essere anche ‘inclusivi’? 

Ma esiste soltanto la ‘fragilità’ del singolo lavoratore? In realtà, no.

Al di là dei soggetti immunodepressi o in cura con cortisonici, di pazienti oncologici o affetti da malattie respiratorie croniche, esistono anche i cosiddetti ‘fragili indiretti’, vale a dire soggetti sani, ma ‘care giver’ di famigliari con gravi problematiche di salute, che non possono proprio infettarsi, neanche tramite un banale virus del raffreddore. Ed è ormai convinzione diffusa tra gli specialisti che dal prossimo autunno-inverno dovremo fronteggiare ondate di ‘influenza da covid19’, seppure più gestibili, grazie a varianti meno aggressive e a vaccini più mirati. 
Ecco, allora, che l’ambiente di lavoro più evoluto non può non fare i conti con aspetti strutturali, organizzativi e di igiene, che offrano maggiori garanzie, anche a questi lavoratori. 
E il datore di lavoro deve tenere ben presenti le proprie responsabilità penali in base all’art.17 e 28 del D.Lgs.81/08 e s.m.i. (‘obbligo della valutazione di tutti i rischi..’) con riferimento anche all’art.2087 del Codice Civile: “.. è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.   

 Quali misure intraprendere?

Le misure vigenti, regolate dal Documento di valutazione dei rischi e in particolare dai Protocolli aziendali anti-COVID19, potrebbero essere integrate da provvedimenti dedicati di tipo preventivo, protettivo e organizzativo. Alcuni esempi pratici? 
Dall’assegnazione di ‘uffici singoli’ e spazi dedicati alla garanzia di sufficienti ricambi d’aria, naturali o artificiali, dall’utilizzo di mascherine maggiormente performanti alla disposizione di barriere parafiato, dalla disponibilità di parcheggi aziendali riservati agli incentivi per il trasporto su mezzi privati, dall’eliminazione di superfici ‘touch’ con l’adozione di sensori per ingressi ed ascensori, alla dotazione/gestione strettamente personale dei dispositivi informatici, tastiere e puntatori in primis con eventuale utilizzo di modelli virtuali.
Ma lo ‘smart office’ può spingersi oltre, grazie all’ IoT (‘Internet of Things’), monitorando e migliorando la qualità dell’aria (controllo della carica virale, per esempio) e garantendo sanificazioni automatiche delle postazioni, segnalando tempi e modi dei percorsi dedicati in entrata ed uscita dall’ufficio, gestendo il numero e la distribuzione dei lavoratori presenti, sia nelle postazioni operative che nelle sale riunioni, e facilitando ogni spostamento attraverso sistemi biometrici, per esempio il riconoscimento facciale. 
Perciò l’obiettivo consiste nel garantire una esperienza lavorativa completa, ma protetta, che consenta di evitare il contatto tattile, garantire l’adeguato distanziamento, respirare aria purificata.
Per l’azienda un ambiente protetto significa ridurre al minimo il rischio di un ‘focolaio interno’ con tutte le responsabilità che ne potrebbero derivare, rendersi appetibile ad una platea più ampia di candidati (da ricordare la quota di lavoratori disabili che l’azienda deve avere in forza, superando i 15 dipendenti, ai sensi di Legge 68/1999) e certificare le massime garanzie anti-COVID a tutti i lavoratori, diminuendo l’assenteismo, favorendo l’incremento della produttività e migliorando l’immagine aziendale (‘company reputation’) in un contesto pandemico/endemico che non si è esaurito.

Come procedere e con chi?

In un contesto che richiede il classico approccio interdisciplinare, l’azienda non può certo muoversi in autonomia.
Sarà decisivo il supporto delle diverse figure della prevenzione aziendale e di quelle professionalità tecniche interne ed esterne in grado di proporre soluzioni adeguate alle caratteristiche, alle dimensioni ed agli obiettivi perseguiti dall’azienda.
Ma una problematica di sicurezza e salute non può rinunciare al ruolo centrale del medico competente che, forte della conoscenza dell’azienda e di ogni lavoratore, legata soprattutto alla sorveglianza sanitaria preventiva e periodica, potrà orientare al meglio le misure preventive/protettive necessarie alla singola situazione, nel pieno rispetto della privacy, contribuendo a contenere i costi di intervento per l’efficace gestione del caso.
Tuttavia, costituirebbe l’opzione ideale una nuova valutazione complessiva dei rischi ai sensi di D.Lgs.81/08 e s.m.i., tramite un approccio complessivo e strutturato alla realtà ibrida (attività stanziale e da remoto) in grado di individuare le criticità e proporre soluzioni personalizzate (Bisio C., Santucci P., La nuova valutazione dei rischi nel lavoro al videoterminale Un metodo per la valutazione dei rischi: VIRA, VDT Integrated Risk Assessment. CESI Alessandria, webinar 23 marzo 2022).

A margine di questi aspetti, soprattutto nelle aziende che hanno scelto una impostazione rigida nella organizzazione del lavoro ibrido, si renderebbe utile l’introduzione di una policy aziendale di supporto ai contratti individuali di ‘smart working’, grazie all’apporto di Legali, Consulenti del lavoro e Figure della prevenzione aziendale, al fine di stabilire criteri che consentano alle Risorse Umane di gestire condizioni di temporanea disabilità.
A titolo di esempio, si tratta delle conseguenze di un infortunio oppure della riacutizzazione di una malattia, compatibili con l’attività lavorativa, o ancora di una necessità ‘indiretta’ improvvisa, quale l’assistenza domiciliare ad un famigliare. In questi casi la soluzione di concedere ulteriori giornate di smart working, oppure il ‘full smart working’ per un certo periodo, su richiesta documentata da parte dell’interessato, potrebbe rivelarsi conveniente per l’azienda, oltre che per il lavoratore.
Ma il tema si intreccia inevitabilmente con la ‘vision aziendale’ sull’attività in remoto, che vede ancora in pochi casi un approccio moderno, aperto alle preferenze dei lavoratori, finalizzato a un modello di lavoro ibrido ottimizzato sulle esigenze individuali. Perché “le esperienze lavorative dovrebbero essere progettate intorno a ciò che motiva e arricchisce i singoli individui” (Pivetta S., Il lavoro del futuro e la riorganizzazione degli spazi fisici e digitali di domani, Officelayout, n°187, ottobre-dicembre 2021).

 

Conclusioni

La sfida è apertissima. In assenza di una specifica regolamentazione la fase post-emergenziale costituisce un autentico banco di prova per le aziende, non soltanto per ottimizzare il lavoro ibrido ancora in fase di consolidamento, ma anche per gestire al meglio l’attività ‘in presenza’ dei soggetti fragili, trasformando una problematica in una opportunità di miglioramento verso una nuova esperienza di benessere aziendale. 
Perciò, anche il miglior ‘digital workplace’ necessita di uno sforzo condiviso da parte di tutte le risorse con competenze tecnologiche ed organizzative, amministrative e sanitarie, preceduto da un salto di qualità culturale, in grado di rimettere ‘la persona al centro del progetto’ per guardare al futuro con fiducia, come descritto nell’editoriale di Paola Cecco su Officelayout 188.

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Paolo Santucci è medico chirurgo, specialista in medicina del lavoro, da 28 anni svolge attività di medico competente, prevalentemente per uffici e nel terziario, attraverso Santucci Studio Medicina del Lavoro srl con il supporto di collaboratori e colleghi.
E’ formatore in Corsi residenziali e FAD, relatore ed autore di un centinaio di articoli per le principali Associazioni scientifiche e professionali soprattutto nel campo della salute del videoterminalista.

Tra i contributi più rilevanti si segnalano:

– Monografia ANMA ‘Il videoterminalista e il D. Lgs.81/2008’ (2009)
Linee Guida della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale (SIMLII) per la sorveglianza sanitaria degli addetti ad attività lavorativa con videoterminali, in qualità di co-autore (2013)
– Capitolo ‘Videoterminali e lavoro d’ufficio’ nell’ambito del Trattato di Medicina del Lavoro, Piccin Editore (2015)
– Documento ‘Funzione visiva ed uso occupazionale di videoterminali’ della Società Italiana di Medicina del Lavoro – SIML, in qualità di coautore (2020)
–  Articoli e testi sulla valutazione dei rischi aziendali correlati al COVID-19 ed in particolare allo smartworking (2017-2022).

www.santuccistudio.it   

 

 


A cura della redazione

Officelayout è la rivista di Soiel International, in versione cartacea e on-line, dedicata ai temi della progettazione, allestimento e gestione degli spazi ufficio e degli edifici del terziario

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